Cosa non è l’Inismo

Definizione tratta da «Il caso Clemente Padín. Protomanifesto di Laura Aga-Rossi. Cosa non è l’Inismo», testo in italiano e francese, in Bérénice (luglio-novembre 1995), tradotto in seguito, per la stessa rivista (luglio 2006), in inglese, inglese, portoghese, finlandese, tedesco, occitanico, preceduto da una introduzione di G.-A. Bertozzi:

[G.-A. Bertozzi :]
Antonio Gasbarrini ed io non conoscevamo personalmente Clemente Padín fino a quando, un giorno, a Buenos Aires, decidemmo di attraversare all’alba il Canal Punta Indio del Río de la Plata per andare a trovare Lautréamont a Montevideo. Salutato il Conte, ci ricordammo verso l’ora di pranzo di quel certo Clemente Padín che abitava proprio nella capitale uruguayana. Antonio lo chiamò al telefono e lui ci raggiunse al ristorante. Era un tipo comune il cui unico “segno particolare” era la sua bocca sdentata. Ci disse che Laura Aga-Rossi non solo gli aveva “cortado la cabeza”, ma, per tributargli il maggior disprezzo, aveva pure pubblicato il suo manifesto contro di lui in color “mierda”. L’ilarità si mescolò allo stupore perché il colore della carta non fu certo dettato da motivi escatologici. Poi
man mano che conoscemmo meglio Padín, ci rendemmo conto che non era altro che un povero diavolo, una vittima, come infine scoprimmo, di uno spagnolo, un certo Ibirico, cento volto inferiore a lui (è tutto dire!). Quest’ultimo, che per vari anni aveva cercato di farsi riconoscere inista divulgando pure uno slogan: “No insista soy inista”, si era riconosciuto tra gli imbecilli denunciati da Laura Aga-Rossi. In realtà fece tutto da solo
perché noi proprio lo ignoravamo.[…]

Si deve essere crudi per essere sinceri fino in fondo. Nella Guida del Rivoluzionario, scrissi: “Non provocate l’insulto del rivoluzionario; è molto più forte del vostro, per
fantasia e verità”. E continuai: “Arriviamo fino all’insolenza; la creatività rivoluzionaria e l’insolenza sono sempre state sorelle. Ma distinguiamo: l’insolenza senza creatività è pure idiozia”.
In seno alle avanguardie storiche, Futurismo, Dadaismo, Surrealismo volarono insulti davvero pesanti contro Marinetti, contro Picabia, Breton, Éluard, Anatole France, Claudel, ecc. ecc. ecc., ma purtroppo quell’Ibirico, piccolo puntino nero lasciato da una mosca in un’ombra della Spagna, non può certo essere considerato al pari di quei personaggi, quindi non ne parliamo più.

Per concludere, a chi ci chiedesse cosa sia cambiato dalla pubblicazione di questo protomanifesto a oggi, potremmo rispondere che sui temi specifici trattati, nulla è cambiato. Chiariti quei punti, l’Inismo doveva proseguire verso altre mete con nuovi risultati.
Apparentemente siamo però più tolleranti verso l’uso improprio delle definizioni, del dizionario. Sopportiamo che ci chiamino, artisti, pittori, quando per noi il termine esatto sarebbe “creatori” o “Poeti” per tutti i settori operativi […]

[Laura Aga-Rossi:]

[PROTOMANIFESTO:]

Un appassionato delle avanguardie, Clemente Padín, ha voluto inviarci due plaquettes, anche se datate, Signo, 1974/Ideograma 1975, dove lettere e segni tendono a comporsi in figure geometriche e VAI e VEM [s.d.], uno studio che riguarda il Concretismo. Ma tutto è un po’ “datato” quello che riguarda Padín, tranne il suo lungo saggio sull’Inismo che ci
ha mandato dattiloscritto (battuto però con macchina da scrivere datata) in attesa di pubblicazione. Così è se consideriamo le date perché, se ci rivolgiamo invece ai contenuti, sarebbe forse stato meglio dire «Ma tutto è un po’ “datato” quello che riguarda
Padín, perfino quello che riguarda l’Inismo»; infatti l’autore non sembra aver compreso granché.
Una precisazione: quando sappiamo che il nostro movimento occupa così tanto tempo nella vita altrui provoca, come nel caso, la scrittura di tante pagine, non possiamo che esserne lieti, tuttavia la deontologia inista ci impedisce di “sacrificare” i volenterosi per trarre quel piccolo vantaggio che, tra l’altro, la Storia non salverà perché ininfluente. E allora chiariamo.
Come ho detto, l’autore in questione si chiama Clemente Padín; di Montevideo (Uruguay) come Lautréamont è, ripeto, un appassionato studioso dei fermenti letterari e artistici del nostro secolo e poeta lui stesso. Il suo interesse specifico per il nostro
movimento perdura da qualche anno e, da tempo, si è messo in contatto con Bertozzi avendo conosciuto l’Inismo grazie all’opera di divulgazione di Francisco Juan Molero Prior (Collado Villalba – Madrid). Informato dal punto di vista storico sulla nascita e programma dell’Inismo, Padín non ne ha capito le principali componenti. Secondo lui, la comprensione a ogni latitudine potrebbe essere data da una sorta di esperanto, non
dall’uso della fonetica internazionale. Siamo su due piani diversi; così non ha potuto cogliere il perché dell’uso della fonetica internazionale, cercando nel significante il significato. L’Inismo è un movimento di poesia e come tale nelle sue opere vuole
comunicare, non informare; i simboli della fonetica internazionale permettono di pronunciare le lettere nel modo in cui sono state concepite dall’autore e comunicare

attraverso il significante; il significato, essendo poesia astratta, è affidato al ritmo, alla vista, al tatto, colore e forma e ognuno lo trova in sé stesso. Ma se si parla di etica, o se si fa critica o si promulga un manifesto ci serviamo delle parole che formano una lingua (altro punto che lo turba) e che possono essere tradotte in altre lingue. Sebbene degno di rispetto e di attenzione, Clemente Padín non avrebbe ottenuto una segnalazione così spiccata se quello che dice non andasse oltre la sua persona e non
costituisse un caso; un esempio negativo, ma tuttavia un esempio, di una larga schiera di fantasmi che popolano le notti del nulla. Mi spiego meglio: l’autore è solo un caso simile
a tanti che oggi però prendo a pretesto per definire il problema. Si tratta infatti di persone che non sanno ascoltare, leggere, quella famosa categoria di cui si dice che monologano
anche quando conversano con qualcuno. Chiuse in un labirinto di antiche costruzioni, di luoghi comuni, di frasi fatte, di barriere refrattarie e pareti di paura verso tutto ciò che è veramente nuovo, la condanna maggiore che si portano dietro/addosso per tutta la vita è quella di ignorare sé stessi ponendosi in una dinamica negativa che li spinge verso gli altri per sollecitarli, per irretirli in qualche modo, al solo scopo di cercare di distinguersi;
non considerando però (è l’ultima cosa che possono fare) che il vero protagonista è colui che conosce realmente gli eventi; conosce e vuol conoscere sempre più gli altri; possiede la “visione” del domani; spesso ha il senso del destino. Insomma, non subisce l’attrazione dell’avanguardia, delle sue manifestazioni esteriori, rimanendo sordo alle sue più profonde istanze. Non conosce sé stesso non conoscendo i propri limiti. A parte queste contingenze stimolate da Padín che crede di interessarsi alla letteratura nuova, tanto nuova appunto da non conoscerla, diamo, non solo per lui (un po’ troppo autistico), una super tavola sinottica quintessenziale (il pleonasmo è voluto):

INI NON È (cinque risposte)

1) Bricolage
Nell’Inismo si pratica il gioco, senza dubbio, ma non si fa Inismo per gioco. Non è un gioco di società. Non è un videogame. Non è il fast food della creatività. Non è un passatempo per sfaccendati. Non è la mania della fotocopia. Non è il floppy delle menti floppy. Non è un esercizio per farsi dire bravo. Non è una catena di Sant’Antonio per trovare amici. Non è uno sfogo alla mancanza di visione. Ciò che ho detto vale per coloro che seguono le mode, per quelli addirittura fuori moda prenderò a prestito alcune parole di Gabriele-Aldo Bertozzi pubblicate ne Il Senso inedito (Napoli, JN Editore, 1985, p. 33):

«Abbiamo sentito affermare a più riprese che ovunque c’è stata o ci sarà vera poesia o vera arte c’è stata o ci sarà sempre avanguardia. Non è così […] Essa non nasce da una
semplice esigenza di rinnovamento, perché allora non si distinguerebbe dal normale evolversi dell’arte, ma da una totale dissoluzione di regole, di convinzioni, di valori creduti prima stabili. Non basta quindi essere non conformisti o originali e, aggiungo anche, incompresi, per essere considerati, per esempio, al pari dei dadaisti. L’equivoco deriva da una parte da una mancata acquisizione dei testi teorici di base, dall’altra
dall’immagine fornita dai mass media […]. Resta il fatto che nel quotidiano il termine avanguardia ha subito questo tipo di volgarizzazioni. Esse vanno acquisite come negative e/o labili […]».

Insomma l’Inismo non è bricolage, ma una rivoluzione necessaria imposta inesorabilmente dal tempo.

2) Mail Art
Fare oggi Mail Art significa essere ignoranti e reazionari.
Ignoranti perché forse non si sa che fu un gruppo americano degli Anni Sessanta ben definito (New York Correspondence School of Art) che ebbe un inizio e una fine. E sono finiti anche i suoi epigoni protrattisi fin quasi agli Anni Ottanta. (Il tutto, generosamente, si può inscrivere tra il 1962 e il 1978, alla vigilia della nascita dell’Inismo). Come tale non deve essere esumato se non per ragioni di studio. O volete Mail Art 1 e 2 e 3 come
Rocky, Rocky 2, Rocky 3… ?????
Reazionari perché, appunto, sarebbe rivolgersi al passato, stare alla retroguardia, o volete essere neo e post? Come neoimpressionisti, postfuturisti, néo-rétro-rustiques, transpalombari! Inventate piuttosto il Mail Love, il Mail Sex, il Mail Food, il Mail Drink, il Mail Flower, pure la Mail Water se non vi bagnate troppo, ma lasciate perdere la Mail Art che ha fatto già abbastanza schifo anche senza il vostro aiuto (e nemmeno del tutto originale, visti gli exploits futuristi fin dal 1909)! Nell’Inismo l’Arte Postale (così si chiama), ogni forma legata alla trasmissione creativa per fruizione creativa, dall’epistola al fax, al modem, è stata completamente rivoluzionata fondendola con la letteratura
odeporica, la letteratura prêt-à-porter, l’altrove e indicandone gli infINIti collegamenti fino all’impossibile. In un fascicolo della nostra rivista (Bérénice, Nuova Serie, n. 4, marzo 1994), Gabriele-Aldo Bertozzi così introduceva il tema:

«Con l’Inismo, tradizione e avanguardia vengono superate per una concezione di ampiezza dove romanzo epistolare, letteratura odeporica, telepatia (intesa davvero come trasmissione a distanza di pathos e non di parole), poesie-lettere/cartoline/… si fondono in quei giochi di cui, forse, l’unico denominatore comune è la punta della lingua».

Tutt’al più si sarebbe potuta considerare l’arte postale, come la Poesia concreta, un “genere privilegiato” delle avanguardie, se il fenomeno per prodursi avesse più bisogno di un’etichetta che di idee, contrariamente allo statuto interno della vera avanguardia. La Mail Art no, nemmeno quello perché è l’esempio più brutale di consumismo borghese in
cui il cattivo gusto trionfa non come oggetto di perturbazione, contestazione, ma di ottusità umana (la bête humaine). Scrive Eugenio Giannì:

«il suo superamento [della Mail Art] era più che prevedibile: non la babele di carta stampata, non la scarsa preparazione professionale, ma la mancanza del prodotto artistico ne ha decretato la fine. […] La differenza tra Mail Art e Inismo si fonda principalmente sulla nozione di estetica. Se le opere della Mail Art risultano sovente caotiche, confusionarie, primitive ecc., quelle iniste mirano al recupero della forma d’arte e perciò
alla sua forza espressiva, l’unica a giustificare la loro permanenza nella storia dell’Avanguardia. […] Quanti persistono a fare della Mail Art limitano il loro potere creativo, essendo entrata nella sua fase di immobilismo e di chiusura» (Correos de Arte, in Bérénice, cit.).

Da molti anni ormai.

3) Sperimentalismo
Non ci si può improvvisare uomini liberi: la libertà è un esercizio quotidiano. E le scelte non sono un calco infedele di vecchie cose, spille da appuntarsi al petto come segno della
nostra arguzia e intelletto. Così non ci si può professare rivoluzionari senza avere una preparazione maggiore di coloro che crearono ciò che oggi vogliamo rivoluzionare. Ma siete sicuri di sapere cosa significhi Sperimentalismo? Scrive Bertozzi:

«Il futuribile non è il Futurismo, il surreale non è il Surrealismo, lo sperimentalismo non è un’estetica nuova: l’Inismo. I risultati ci sono e per superarli, per superarci, nessuno di noi deve vestire abiti vecchi» (Inismo Spagnolo e Argentino, Chieti, Solfanelli, 1992, p. 14).

Sull’esempio si potrebbe pure aggiungere che se in un’opera appaiono lettere non necessariamente ci troviamo di fronte al Lettrismo; che non tutto ciò che si offre in modo iconico alla vista (che si presenta cioè come immagine) è Poesia visiva; che una
composizione fruibile dal nostro udito è Poesia sonora; che un calcolo infinitesimale è Inismo; che un’enciclica è la bicicletta del Papa. Gruppi o movimenti hanno i loro manifesti o testi di riferimento che ne stabiliscono le istanze profonde, di là da quanto possa suggerire un’etichetta a chi ignora l’antropologia dell’avanguardia. C’era una volta lo Sperimentalismo. E fu cosa buona e giusta. Fu cosa buona e giusta e coincise con la
fase di distruzione di valori creduti fino allora stabili. La sua funzione salutare, innovatrice, poteva risultare solo dalla verifica che lo Sperimentalismo aveva pur suggerito qualcosa. Affermiamolo, accettando ormai da tempo la sua fine. Visse fino alla Seconda Guerra Mondiale. Gloriosamente. Rispettiamolo. Non sviliamolo con la stupida ripetizione. Cessata la sua fase sistematica ora rientra nella prassi normale (c’è pur
sempre qualcosa da sperimentare). Ma un’estetica nuova è in atto grazie all’Inismo. Esercitiamola dimostrando la nostra capacità creativa. La vecchia estetica era disgiunta
dall’etica. Ciò non è più possibile. Non può esistere nella concezione del creatore moderno il concetto di sopraffazione, concorrenzialità, l’idea del «più bravo», di strategia
del successo, del potere culturale, della gelosia di gruppo (o tribù), credere insomma che un impotente possa generare valori che spingono il mondo in avanti. Tutto ciò non è più possibile e non è più possibile neppure non conoscere il nome della strada su cui ci troviamo, se vogliamo trovarci da qualche parte, se non vogliamo trovarci da qualche parte, se vogliamo conservarlo, se vogliamo cambiarlo. O preferite offrire la zampa quando il vostro padrone dimostrerà agli amici la vostra arguzia?

4) Poesia visiva
Per la Poesia visiva vale in parte il discorso che ho fatto per i due punti precedenti, Mail Art e Sperimentalismo. Anche la Poesia visiva ha una sua precisa collocazione storica (1963-1979) e gli stessi protagonisti l’hanno identificata con l’esperienza artistica del Gruppo ’70. E in quanto tale non è ripetibile senza produrre falsi o copie. Scriveva Bertozzi nel 1992:

«Ricorrono a mio avviso, nell’Inismo o negli Inismi spagnoli, ancora troppo frequentemente definizioni come «poesia visiva», «sperimentalismo» cui si aggiungono «mail art», «poesia concreta» bandite categoricamente dall’Inismo italiano che nella
realizzazione di una nuova estetica ritiene oggi peggiori degli imitatori di Foscolo o di Zorrilla, quelli che imitano i vecchi prodotti dell’avanguardia» (Ibid., p. 13).

L’INIsmo NON E’ nemmeno Poesia concreta essendo questa un genere dell’avanguardia (più che un movimento) con cui più o meno si sono cimentati molti autori desiderando produrre immagini con lettere, parole. Ma anche prima, dall’antichità
al medioevo (nota la bottiglia di Rabelais) fino ai cosiddetti precursori: da Mallarmé (Un coup de dés…), ad Apollinaire di cui sto pubblicando gli ideogrammi (tratti da Calligrammes), nella loro forma, per la Newton Compton Editori (Roma), fino alle
parole in libertà futuriste. Visto il punto 2 (supra: Mail Art) ricordo che Apollinaire fece arte postale utilizzando la «poesia concreta»: Lettre-Océan. Il fondatore dell’Inismo precisava nel 1980 la differenza allora poco nota tra Poesia visiva e Poesia concreta:
«La prima […] usa l’immagine per soccorrere e dare nuovo senso alla parola e quindi mira a raggiungere quei risultati più perseguiti dalle arti visive che da quelle letterarie. La seconda invece si concretizza nella strutturazione grafico-tipografica delle parole (anche delle lettere)» (G.-A. Bertozzi, in Berenice, I,1, novembre 1980, p. 174).

5) Ripetizione
Noi non amiamo i neo e i post, ma in questo caso, potremmo proprio dire che «visivo», «sperimentale», «mail art» sono termini postborghesi superati dall’autentica avanguardia che non può mai essere ripetizione (se la ripetizione è in generale negativa, è addirittura assurda per l’avanguardia). Se voi credete invece che usando questi termini (visivo, sperimentale, mail art) raggiungerete un orizzonte di attesa vi sbagliate: non è un
orizzonte di attesa che raggiungerete, ma un orizzonte di merda.

Roma, 24 gennaio 1996.
© Bérénice, nn. 8-9

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