La realtà virtuale

di Gabriel-Aldo Bertozzi

Ne L’Esprit nouveau et les poëtes, Guillaume Apollinaire soffermandosi sul celebre aforisma di Salomone, Non c’è niente di nuovo sotto il sole, osservava : « Per il sole, forse. Ma per gli uomini ! »[1]. Ogni qualvolta mi trovo a parlare delle strabilianti invenzioni dei nostri tempi, non posso far a meno di pensare a quella sua conferenza tenuta il 26 novembre 1917 al Théâtre du Vieux Colombier. Allora si stupiva che avessero radiografato la sua testa, di aver visto, da vivo, il suo cranio e che i cieli si popolassero di uccelli stranamente umani[2]. Diceva testualmente : « Macchine, figlie dell’uomo e che non hanno madre, vivono una vita in cui le passioni e i sentimenti sono assenti, e ciò non sarebbe nuovo ! ». Sì, forse il sole non ha visto tutto e se, in sostanza, nulla ci fosse di nuovo, è certo che un senso nuovo occorre dare a molte cose. Eccezionalmente nuovo, rispetto a tutte le ere, è questo nostro secolo in cui dal cambiamento di stagioni in poche ore passiamo al cambiamento di epoche : là si usa la freccia e là si usa il laser. Il laser è anche una nuova penna, un nuovo pennello, un nuovo bisturi, un nuovo scalpello. Si deflorano gli spazi, nasce la filosofia dell’infinitesimale e t’incontri ogni giorno con chi conduce una piccola lotta tribale ! Accanto alla più trita letteratura, alla più esaurita concezione dell’arte operano creatori nuovi, si afferma una concezione, un sentire che poco hanno a che fare coi vecchi linguaggi. Prima inventare nuovi fiori, nuovi astri, nuove carni, nuove lingue era una favola. L’hanno raccontata, noi l’abbiamo realizzata. Senz’altro è cambiato anche il sapore dei baci, se sono cambiate le nostre labbra ! Poco più dello spazio di un’unghia occupa la memoria delle parole scritte nei libri della mia biblioteca, risultato di ricerche iniziate sistematicamente dal mio bisnonno. Si espande ogni giorno una realtà nuova di cui i più giovani tra noi non si stupiscono più. Come la “realtà virtuale” di cui desidero ora parlare senza che il suo nome (infondato) mi sia di ostacolo (ah, la vecchia parola !), ma senza nemmeno tacere quelle osservazioni senza le quali si continuerebbe nel malinteso e nella incomprensione. Intendo dire che non ci sono tante realtà, dunque non c’è realtà vera e realtà virtuale… se non per gli obnubilati ! O se si vuole, le realtà sono così tante che è proprio la loro molteplicità a creare un’unica, infinita estensione (“inista”). Abbiamo saputo quindi individuare un altro aspetto della realtà e vi abbiamo dato molta importanza, poiché molta importanza merita, sia perché s’inserisce quasi nella zona dell’inedito, non esclusiva ma privilegiata, sia per quell’esercizio di rapporti sinestetici, multimediali e oltre che, dall’abolizione dei settori operativi al Manifesto della Videoinipoesia, continua a essere per noi, sul piano esclusivamente tecnico, ricco di stimoli rigeneratori.

 

Nel suo Studio sui mezzi di comunicazione coi pianeti, Charles Cros, antenato dell’Inismo[3], era costretto a “scongiurare” : Sarò felice, se non urto da ogni parte, come mi è successo spesso, contro il non sapere negatore di tutto quello che non è il calco fedele del passato; noi, a tutti coloro che costituiscono la popolazione che rendeva quella situazione infelice, e che la rende ancora, siamo costretti a unire i figli dell’ignoranza presuntuosa prodotta da una molto più ampia informazione; entrambe le schiere poi sono raggiunte in una sterminata brulicante pianura dai seguaci della moda, dagli attenti consumisti, dagli intellettuali da edicola, dai politici reazionari e perfino, tra altri ancora, da quelli che fraintendono l’avanguardia.

Se noi, oggi, siamo in grado, grazie a una tecnologia molto avanzata, di riprodurre sensazioni riconducibili a una determinata realtà dimostriamo un’unica indiscutibile certezza, quella cioè che disponiamo di un altro mezzo, di un altro utensile, sia pure complesso, per il nostro fare[4]. L’enorme salto rispetto alle possibilità precedenti non deve far smarrire la nostra intelligenza che dovrà essere sempre in grado di discernere che la partecipazione anche ad altissimi livelli, pure olfattivi e tattili, non sempre coincide con la creazione e in ogni caso genera, come ho detto, una realtà diversa, migliore o peggiore, patetica o trascurabile, volgare o nobile, magnifica o banale, ma diversa in ogni caso : un amplesso di due amanti – per fare un esempio in cui il senso del pudore ceda il posto alla necessità di chiarezza – non può avere equivalente in un’altra coppia, figuriamoci se può averlo nella “realtà virtuale” (un bacio adulterino sarebbe un peccato “virtuale” ?); un tripudio di luci in un panorama d’eccezione potrà probabilmente essere più bello (e senz’altro potrà produrre più stupore) sotto un casco, di quello realmente visto al tramonto, da una scogliera dell’arcipelago toscano, ma insisto non è la stessa cosa, dunque non si chiami tale procedimento, il risultato di questa sofisticata tecnologia, “realtà virtuale”. Oppure si continui a chiamarla così (se dessimo troppo peso alle etichette, più di metà della nostra terminologia andrebbe eliminata), ma se ne comprenda appieno il significato.

 

Non vi sono precedenti, a rigore, che si possano paragonare alla “realtà virtuale”; varie invece le possibilità di trovare analogie con altre dimensioni. Tra queste, si possono distinguere cinque categorie primarie : la prima è data da stimoli naturali interni[5]; la seconda da stimoli anormali interni[6]; la terza da stimoli esterni[7]; la quarta da forme interpretative semplici[8]; la quinta da forme interpretative complesse[9]. Anche questa catalogazione di comodo (come tutte le catalogazioni) ci permette di rilevare l’originalità o almeno la particolare posizione della “realtà virtuale”; essa, infatti, potrebbe situarsi nella terza categoria essendo indubbiamente uno stimolo esterno, ma può pure inserirsi con pieno diritto nella quarta se si limita a forme aneddotiche o nella quinta se produce pathos. Qui la grande forza della “realtà virtuale” (insisto però sino alla mania nel ricordare ancora che non c’è niente di “virtuale”, ma si sono allargati i confini della realtà), forza che risiede nel suo svariato numero di possibilità : se chi la produce sarà solo un “illustratore” (tecnicamente, un “super illustratore” rispetto al passato), sarà semplice aneddoto da gettonare come oggi si gettona un videotape, ma se sarà opera di un creatore, allora darà l’astratto dove si richiede l’astratto; l’infinitesimale dove si richiede l’infinitesimale e così via, di sinfonia in sinfonia, di visione in visione.

Da “visione” al “visionario”, al “fantastico”, o meglio il contrario dato che il “fantastico” è un capitolo dell’immenso libro del “visionario”. L’“arte virtuale” è/sarà fantastica o visionaria ? Nella sua prima fase è senza dubbio più fantastica perché confida più sull’aneddoto sotto forma di dato spettacolare, stupefacente e poi perché, tecnicamente, è più facile ottenere effetto attraverso il visivo; infatti, il “visionario”, in rapporto contrastante o conciliante col nome che lo qualifica, a seconda dell’approccio conoscitivo superficiale o profondo, giunge all’uomo attraverso la mente e non attraverso gli occhi; generalmente quindi, usando una terminologia artistica, volgerà più all’astratto che al figurativo, al sinfonico più che all’operistico, alla poesia più che al romanzo. Ma senza ricette sicure, senza regole assolute come si conviene a tutto ciò che investe la sfera della creazione. Un Poeta – nell’Inismo è avvenuto più che altrove – può sempre ribaltare la situazione, anche se, nel caso, si deve parlare di eccezionalità. Generalizzando invece, come talvolta occorre fare, si dirà che il “fantastico” è una delle parti meno evolute del “visionario” essendo più aneddotico, descrittivo (o meno quintessenziale); è anche meno parossistico; meno simultaneo se per simultaneità oggi, con l’esperienza inista, non s’intende più semplicemente rappresentare su due o più piani diversi, ma addirittura in sfere diverse, emotive, sensitive, rigenerative; meno mistico; meno libero da quei vincoli che impediscono di trovare la lingua. Inisticamente parlando si può dire che talvolta è il segno che non si è fatto inia[10].

In questo contesto risulta abbastanza evidente che nella “realtà virtuale” è, come abbiamo accennato, più facilmente fruibile il fantastico (e da non dimenticare il fiabesco, il meraviglioso, il fantascientifico e la cosiddetta letteratura « fancy »); d’altronde essa non essendo altro che un espediente espressivo sofisticato che giunge, per esempio, dopo la letteratura o la pittura, è soggetta a tempi di emancipazione come una poesia[11] o un quadro, presumibilmente molto più brevi dato il profitto già ricavato dalle recenti esperienze.

Presumibilmente, non sicuramente. La storia può ripetersi e avremo nuovamente secoli di generazioni idiote, d’imitatori della natura e della (lo dico questa volta con ironia) “realtà”. La “realtà virtuale” sembra facilitare questa scelta dietro lo scudo di un gioco non più inista, ma consumista. Abbiamo visto di recente come ideologie ritenute sacre potessero scomparire nell’espace d’un matin. Abbiamo visto continenti come torrioni diventare in un attimo zattere alla deriva. E senza chiedersi nulla, e senza chiedersi se sia l’utopia, il sogno grandioso che fa avanzare il mondo o la mediocre sicurezza. Il certo. Abbiamo visto attori e cantanti, giullari, prendere il posto del sovrano. Abbiamo visto nazioni dimenticare i delitti dei padri così facilmente come le rivoluzioni culturali. D’altronde il riflusso era iniziato da tempo. Abbiamo visto soprattutto come la cultura ceda il posto al più stolto gusto di massa per soddisfare un orizzonte d’attesa che a sua volta soddisfi un rientro economico. L’avanguardia non ha orizzonti d’attesa perché invece di attendere va avanti; l’avanguardia non ha bisogno di ritorni economici perché è sempre stata “ricca” !

La “realtà virtuale” è potere. Sarà potere capace di condizionare (o di contribuire a condizionare) le masse specialmente se come ora è, per i motivi che tutti conoscono, utilizzabile solo da chi, privo di cultura, ignora la cultura, teme la cultura.

Non sicuramente, ma presumibilmente. La “realtà virtuale” per recuperare l’uomo dovrà quindi abbandonare il figurativo (o descrittivo) per la creazione. Il sommo grado di libertà espressa dall’Inismo ci ha sempre portato più facilmente a dire ciò che si deve fare piuttosto che ciò che non si deve fare; ora è ancora per la libertà che condanniamo queste forme reazionarie, facile strumento di chi voglia porre l’uomo in uno stato di ebetudine, fare di lui un numero da inserire nel programmato orizzonte d’attesa, di rientro economico. In quel caso, l’unico ritorno possibile è quello dell’assopimento, del torpore, in quel dormiveglia in cui la volontà ti abbandona e da cui nemmeno il libero sogno ti scioglie; in quello stato in cui è vana l’opera di sensibilizzazione, indispensabile per accostarsi e udire voci nuove. L’aneddoto crea le convinzioni; convinzioni e aneddoti quando s’incontrano bevono il latte degli stolti ! Anche La Fontaine può essere strumentalizzato : siamo proprio sicuri che sia meglio imitare la formica o che la ragione del più forte sia davvero la migliore ? Perché nei regimi dittatoriali, l’arte ufficiale era figurativa, aneddotica ? Etica ed estetica si fondono in un unico pensiero. Le invenzioni d’ignoto pretendono forme nuove, ha scritto qualcuno più di cento anni fa. Noi diamo nuove forme realizzando quell’intuizione, quel desiderio. Cambiamo il sentire. Più importante di cambiare le leggi è cambiare il sentire. La “realtà virtuale” sarà straordinaria, rischiosa, profetica o sarà davvero “virtuale”, cioè programmata.

 

[1] « Pour le soleil, peut-être. Mais pour les hommes ! ».

[2] « Quoi ! on a radiographié ma tête. J’ai vu, moi vivant, mon crâne […] Les airs se peuplent d’oiseaux étrangement humains ».

[3] Preferiamo, noi inisti, questa definizione perché con il Dopo Rimbaud (gennaio 1992), abbiamo dichiarata  conclusa la nostra fase “precursori”.

[4] Negli scritti inisti più recenti è nominata abbastanza spesso la “realtà virtuale”, comunque il primo a dedicarvi un intero intervento è stato François Proïa durante il convegno internazionale, Di qua e di là dalla parola. La Lettera e il Segno nelle “Scritture” contemporanee. (Inismo, Lettrismo, Poesia Sonora, Poesia Visiva), tenutosi a Pescara nel novembre 1992. V. F. Proïa, L’Inisme et les mondes virtuels, negli atti del convegno pubblicati in Bérénice, NS, I, 1 (marzo 1993). Ricordo che nell’occasione, l’inista non trascurò di dire che la “realtà virtuale” deve essere sempre considerata come un mezzo.

[5] Dal sogno e dall’allucinazione volontaria, per esempio. Si pone al primo posto perché il sogno è molto frequente nella nostra vita. Non sarebbe così se l’allucinazione volontaria occupasse un suo posto a parte. Questa categoria viene distinta soprattutto dalla terza dove gli stimoli giungono a noi dall’esterno (stupefacenti). Anche il sogno concorre a dimostrare che non vi sono “realtà virtuali” : surrealtà, se si vuole; realtà onirica pure; realtà all’ultimo gradino, ma sempre pulsanti, vive. Ciò che infatti distingue questa categoria dalla cosiddetta “realtà virtuale” è che la prima è un’esperienza imponderabile, irripetibile; la seconda è necessariamente prodotta da un programma.

[6] Dall’allucinazione involontaria e dalle malattie mentali, per esempio.

[7] Dall’ipnosi e dall’uso di droghe, per esempio.

[8] Da prodotti di evasione che raccontano una storia (trasmissione generalmente scritta, orale o per immagini).

[9] Da opere di creazione. Secondo la concezione inista, non è possibile circoscrivere questa area né separarla da ciò che non è prodotto umano. Tela, foglio, suono o tempesta, la creazione crea pathos la cui intensità dipende dalla emancipazione e sensibilità del fruitore. Qui, in termini inisti, si parla di « traduzione ».

[10] L’inia è un segno espressivo, non imitativo

[11] Pongo qui questa nota, come potrei porla altrove, sperando di non interrompere troppo il discorso, per trascrivere dal mio blocchetto alcuni appunti interessanti, ma disordinati e secondari : • Baudelaire aveva impostato sull’artificiale l’intera sua poetica (e mi riferisco proprio alla sua poesia, non al piccolo trattato su I Paradisi artificiali); • forse la prima “realtà virtuale” è stata il suono del mare udito in una conchiglia, poi lo spirito poetico, creativo dell’uomo ha sempre voluttuosamente mirato a possedere un sogno, un’immagine mutevole cui legare un filo di libertà : si pensi al caleidoscopio; • certamente il cinema è stato il primo a offrire l’archetipo della “realtà virtuale” e il computer il primo a farne intravedere le possibilità di realizzazione.

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